Chi sono Faravelli e Burrone?
Due individui rapiti dagli extraterrestri in giovane età, a 18 anni di distanza l’uno dall’altro. Al rispettivo ritorno hanno scoperto di essere scelti come papabili successori e portatori della loro cultura musicale tradizionale.
Scherzi a parte, due normalissime persone con una smisurata passione per la cultura musicale del loro territorio, ossia le Quattro Province (Pavia, Alessandria, Piacenza, Genova). Ci siamo conosciuti sul territorio io, Stefano, originario dell’alta valle Staffora, precisamente di S.Margherita, mi occupo di questa realtà da circa 32 anni e Matteo, anch’egli originario della medesima valle, precisamente di Negruzzo, sebbene molto più giovane, ha all’attivo vent’anni di carriera. Per quello che riguarda la nostra formazione, data la differenza d’età, abbiamo seguito percorsi leggermente diversi: Matteo si è interamente formato con il pifferaio Stefano Valla dall’età di 6 anni, per poi intraprendere uno studio tecnico dello strumento. Stefano si forma prevalentemente come autodidatta, anche se guarda a Stefano Valla come riferimento stilistico.
Il repertorio del duo rispecchia quello che è il patrimonio consolidato delle accoppiate pifferi-fisarmonica o avete introdotto novità?
Principalmente si, nel senso che abbiamo guardato al passato più e meno recente per gli elementi stilistici e per imparare il repertorio così come patrimonio consolidato, come lo avete giustamente definito. Dopodiché, con il passare degli anni, dal 2010, anno in cui ci siamo incontrati, ci siamo limitati ad arrangiare alcuni brani della tradizione più recente, con armonie e stilemi richiamanti la musica jazz, con tutto rispetto parlando per i jazzisti.
A Matteo: ti abbiamo sentito cantare alla bujasca, brani dolcissimi, dove la musica antica va a braccetto con le sonorità più attuali. In che modo il patrimonio vocale dell’area appenninica ha influenzato il tuo essere musicista?
Devo dire che, purtroppo o per fortuna, mi sono accorto relativamente tardi che quello che consideravo cultura musicale o canora era patrimonio di tutta un’area geografica: quel che avete sentito cantare da me o da altri e che denominiamo evidentemente e in ugual maniera canzoni alla Bujasca, sono le canzoni che mia mamma Lauredana mi cantava per farmi addormentare da bambino e che mio papà Elio sentiva in loop nello stereo, quello a “cassette” e più avanti nel lettore CD della nostra macchina. Sono le canzoni che mio zio Claudio cantava in giro per casa e che ad oggi con Stefano, mia sorella Chiara (che canta meravigliosamente bene), i miei cugini Pietro e Yuri e tanti altri cantiamo in auto nei nostri viaggi. Per questo motivo, tutto questo grande raccoglitore di canzoni ha influito in modo naturale su di me, ma più che sul mio essere musicista, sul mio essere il Matteo che sono oggi.
A Faravelli: parliamo dello strumento che suoni (il piffero). Quali le sue caratteristiche e chi, ancora oggi, costruisce pifferi?
E’ un areofono ad ancia doppia, progenitore dell’oboe. Ad oggi, che io sappia, i pifferi vengono ancora costruiti dal mitico Ettore Losini detto Bani, che è anche un bravissimo suonatore, e da Stefano Mantovani, eccellente artigiano appassionato da sempre della nostra musica; personalmente oggi suono un suo strumento .
La musica per piffero e fisa è evidentemente funzionale. A differenza di altre forme di musica popolare esistono settori del repertorio dedicati a occasioni particolari: matrimoni, feste dei coscritti, feste di paese, celebrazioni comunitarie. Potete raccontarci un po’ come viene utilizzato il repertorio all’interno delle comunità in cui viene normalmente eseguito?
La musica delle Quattro Province, come sicuramente avrete sentito, è considerata uno dei cinque repertori musicali autoctoni della penisola italiana; conseguentemente il legame con il territorio in cui è nata e in cui si è sviluppata è molto forte. È inevitabile che determinati momenti tipici del tessuto sociale e della quotidianità vengano raccontati in musica attraverso particolari tipi di repertorio. È il caso dei matrimoni che evocano a sé un nutrito repertorio sia orale che strumentale con brani tipo la Sposina e la Bella si marita, accomunati dalla melodia all’unisono di piffero e voce; oppure il carnevale, festa particolarmente sentita su tutto il territorio e occasione imperdibile per pantagrueliche libagioni, prima di arrivare alla Quaresima, caratterizzata dal classico ballo della Povera Donna. Ovviamente piffero e fisarmonica rappresentano poi la spina dorsale sonora di tutto un territorio: tutte le feste e sagre – o quasi – sono animate da questo tipo di musica. Quindi, a differenza di alcuni repertori che sono una riedizione, il nostro rappresenta una vivace continuità con il passato; sostanzialmente è dal 1500 che nelle nostre valli non si è mai smesso di suonare questo tipo di repertorio.
Progetti ai quali state lavorando?
Anima Popolare con Flavio Oreglio è uno spettacolo rievocativo e modernissimo al tempo stesso. Flavio Oreglio e gli Staffora Bluzer (Stefano Faravelli, Matteo Burrone, Daniele Bicego, Giacomo Lampugnani e Cristiano Giovanetti) riscoprono la vivacità dei colori musicali e delle tematiche popolari lombarde e con questo spettacolo propongono il risultato di un divertimento nato quasi per caso al Circolo dei Poeti Catartici di Pregola (Passo del Brallo – PV) nell’agosto del 2017.
Lo spettacolo, però, non è soltanto un tributo. Infatti la sperimentazione sonora e la nuova veste dei brani storici hanno aperto la strada anche a proposte originali, mantenendo lo stesso vestito acustico e arricchendo lo show con brani inediti. Una performance da assaporare col sorriso sulle labbra.
Contaminazione possibile? Come possiamo immaginare la musica delle Quattro Province in un contesto attuale?
Domanda difficile… Pensiamo che la contaminazione sia sempre possibile purchè praticata in modo consapevole: bisogna avere una conoscenza approfondita del repertorio che si va a contaminare perché questo può permettere di trovare un giusto equilibrio tra un linguaggio musicale tipico, spesso ancestrale, e uno più attuale. Nelle nostre valli, ad inizio ‘900, con l’introduzione della fisarmonica (il piffero fino a quel momento suonava in duo con una cornamusa detta “musa”) è avvenuto proprio un percorso di questo tipo.
Venendo alla seconda parte della domanda, a cui è ancor più difficile rispondere, possiamo dirti che il territorio da cui questa musica trae linfa vitale sta vivendo una crisi senza precedenti: lo spopolamento e l’abbandono inesorabile delle zone montane si ripercuote inevitabilmente sulle dinamiche che da sempre regolano la nostra musica; fortunatamente però ci sono diversi e bravi giovanissimi suonatori grazie ai quali, in un certo senso, la tradizione è salva. Secondo noi, che ormai ci reputiamo suonatori “anziani”, spetterà a loro compiere le scelte che permetteranno alla tradizione di adattarsi a questo nuovo contesto.
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